Il binomio tradizione-innovazione

Così Carlo Bagnoli e Nicola Belli sono riusciti a portare per la prima volta il FEI nel Sud Europa: «Innovare non è sinonimo di genialità né solo di high tech ma significa una visione del mercato e analisi e strumenti concreti su come realizzarla»

di Fabio Bozzato

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La sfida è stata quella di vincere lo scetticismo dei newyorkesi. Quelli dell'Institute for International Research (IIR) temevano che portare in Italia una conferenza sulle frontiere più avanzate dell'innovazione, la Front End of Innovation (FEI), fosse un azzardo. Cosa non li convinceva? «Un Paese colpito dalla crisi, con così tante micro-imprese quasi sempre prive di team di ricerca», racconta Nicola Belli, responsabile innovazione per Safilo. E pure il costo di partecipazione di qualche migliaia di euro, non pochi di questi tempi. Alla fine la FEI si è aperta davvero qui, ospite di Ca' Foscari, «la prima Business School d'Italia e la seconda in Europa», come ama vantarsi non senza un pizzico di snobberia.

Approcci inediti

Per tre giorni nelle aule di San Giobbe non si parlerà che di approcci inediti, ottimismo per il futuro, nuove generazioni e scenari visionari. La formula è quella che accompagna la FEI da dieci anni, da quando è nata negli Usa, per poi sbarcare parallela anche in Europa nel 2007. Manager, imprenditori, giovani creativi, guru dell'informazione, banchieri e accademici si ritrovano per confrontare idee, ricerche e buone pratiche. «Una cosa che qui manca e che è necessaria», spiega Belli. Dunque va a lui e a Carlo Bagnoli (docente di innovazione strategica al Dipartimento di management di Ca' Foscari) il merito aver fatto scendere il meeting verso lo scapestrato Sud d'Europa.

Il modello delle Pmi

A convincere i partner alcuni fattori-chiave: «Qui c'è un modello di imprenditoria piccola e media sul cui successo, crisi e rigenerazione tutti guardano con attenzione – racconta Bagnoli – E c'è la possibilità di dimostrare che tradizione e innovazione si alimentano a vicenda». Di esempi il prof ne fa tanti e in platea sono in molti a sgranare gli occhi: «Vogliamo parlare dei jeans di Garibaldi che sbarca coi Mille e ciò che ne ha fatto la Diesel? E le filiere così innovative come Eataly e Grom? Ricordiamoci che la prima tazza di caffé come la conosciamo oggi è stata servita proprio qui a Venezia». Il suo motto è «riportare le origini nel futuro»: la vera sfida, si dice convinto Bagnoli, è quella di «conoscere e usare i saperi come un patrimonio “originale” che serva per “originare” qualcosa di nuovo».

L'esempio di Muji

In questo senso, in Italia un intero territorio aspetta di essere messo a valore. Ma c'è un esempio di impresa che sia riuscita a coniugare queste due cose, tradizione e innovazione? Sì, dice il docente, «pensate a Muji». Ad ogni modo, che siate un'impresa piccola o grande, ci sono due cose da tener conto. «Visione e metodo», sottolinea Belli. Che poi sono i temi su cui ruotano plenarie e workshop della tre giorni, dove si alternano grandi companies come Lego, Whirpool, Vodafone, Procter Gamble, Siemens, McLaren, solo per citarne alcune. «L'importante è capire che innovare non è sinonimo di genialità né solo di high tech – secondo Belli – Ma avere una visione del mercato e analisi e strumenti concreti su come realizzarla».

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